La semiotica è vasta, impossibile coprirla tutta. Forum di attualità, cultura e innovazione degli studenti di Discipline Semiotiche, Bologna. IL PE_RIZOMA è UNA RIVISTA GRATUITA! MAIL: pe_rizoma@yahoo.it

11 novembre, 2007

Su Luttazzi, di nuovo

ieri la seconda puntata di luttazzi, che conferma i 7centomila e passa spettatori. conferma anche il format, con il monologo di circa un quarto d'ora all'inizio, il cui tema era 'lu case bulgaro'.


devo correggere l'impostazione del post scorso. credo che luttazzi in questo programma prima di tutto voglia informare, più che far ridere, anche se questa è una delle cose che gli riesce meglio.


i comici in questo periodo stanno diventando depositari del po' di senso civico rimasto agli uomini pubblici e di spettacolo. nessuno dice nulla, nessuno critica, fatta eccezione per la trasmissione di santoro, che trovo inguardabile per insostenibilità del conduttore e della borromeo. ballarò si limita a far litigare i politici in televisione e altro non è che un proseguimento in seconda serata dell'elenco di esternazioni che sono diventate le notizie di politica.


insomma se vuoi sentire qualcuno che faccia davvero un'analisi della situazione politica o devi telefonare a casa di travaglio, oppure devi seguire i comici. la guzzanti è ormai da un po' che ha messo da parte le risate per far spazio alla denuncia delle nefandezze politiche. la guzzanti però io credo sbagli strategia, ché adotta un registro da politica senza però dichiararsi tale, assume le battaglie direttamente, e soprattutto senza più battute.


luttazzi invece ha saputo trovare una miscela incredibile di denuncia, gag satiriche, gag stupide.
è riuscito a dire no al 'facce ride', a fare una trasmissione di informazione, e a fare una trasmissione divertente. altissimo livello.
ps
peccato per la mancanza dei dialoghi platonici..

09 novembre, 2007

Vecchi interpretanti: You Tube e i giovani

non se ne può più dei vecchi che in due pagine fanno l'analisi completa dei giòvani. ognigiorno su repubblica c'è un commento molto pregnante dell'intellettuale tizio e del sociologo caio che hanno capito tutto non solo dei giovani ma anche del come e perché usano certi strumenti.

la repubblica di oggi è veramente fantastica. in R2 oggi hanno messo da parte l'usuale inchiesta sui cardi, e l'effetto deleterio delle pigne nel culo, per affrontare il problema di "You tube, diario on line dei ragazzi soli". premesso che il titolista di repubblica è chiaramente riciclato dalla redazione di non è la rai, resta comunque che l'articolo di gabriele romagnoli è davvero scandaloso.



che internet sia la causa della violenza è piuttosto una cazzata, e questa, più o meno, è un'opinione abbastanza diffusa, almeno tra gli intellettuali. a fianco all'articolo di romagnoli ci sono le interviste a sree sreenivasan e a rodotà, dove entrambi sostengono appunto che mettere filtri a internet, oltre ad essere molto difficile, sarebbe anche presemubilmente inutile (con buona pace di eco).

la parte divertente dell'articolo di romagnoli è quella sulle motivazioni che spingerebbero i ragazzi (che è una categoria che va dai 14 ai 45 anni) ad aprire blog oppure ad andare su youtube.

le ragioni sono SOLITUDINE - ESIBIZIONISMO - MERCATO. "non ci sono valori né disvalori. la realtà è film, quindi ingiudicabile." sembra il commento di un predicatore degli anni cinquanta che ha appena individuato nella televisione lo strumento del demonio.

1. dove sta scritto che i film sono ingiudicabili?
2. perché se la televisione fa cacare e si cerca alternative on-line dobbiamo per forza essere dei sociopatici?
3. è una novità che gli adolescenti vogliono attenzione fine a se stessa?
4. avete mai visto un blog fatto da gente non necessariamente sul orlo del suicidio?
5. mai visto un blog senza scopi di lucro?
6. mai visto un blog collettivo?

il punto è che certa gente non ha la più pallida idea di cosa dice, solo che può dirlo, e spacciarlo per una grande verità sociale.
il problema è che altra gente ci crede

07 novembre, 2007

ECO E' IL FATT'APPOSTA


Scusate, non entro in merito del contenuto del precedente post (come quale? basta scorrere, sempliciotti...), ma mi attengo scrupolosamente ad una sua questione di limine, di sfondo: il pro-postico, direbbe basso.
ovvero la presenz'assenza di eco su repubblica.vengo subito al dunque, e dopo essere venuto al dunque non rileggo, perché sto studiando e non "ci" ho tempo da perdere, quindi mi scuso aprioristicamente su inesattezze fandonie refusi e catastrofi ambientali.

allora: eco su repubblica non c'è quasi mai, se non una volta ogni tot quando ci piazza il suo articolone di due paginone fitte fitte che comincia in prima, (interessantissimo per carità, e sennò che farei semiotica affàre).

lo stesso articolone che poi qualche anno dopo finisce come saggio in una sua raccolta di saggi dai titoli ammiccanti e troppo fighi (parlo così per pura invidia e desiderio di emulazione, 'che noi a pe_rizoma ci proviamo a fare i fighi nei titoli, ma mai a quei livelli lì)


però il punto è che, pur non essendoci quasi mai di persona se non nell'articolone suddetto, Eco ultimamente pervade Repubblica, la imbeve, ne cola, quasi.

tipo: su R2 approfondiscono lo spinoso tema della pulitura a mano dei cardi di montagna? (R2 nasce per quello) ecco: per alleggerire la pagina, ci stanno 2-3 civette contenenti citazioni in merito ai cardi ed aforismi dei suoi esperti (i cardòlogi), ed eccallà che ti spunta la frase di eco, che parlando della pregnanza delle cacche di rinoceronte in un libro di semiotica del '86, incrocia di striscio, oppure lascia solo intuire fra le righe, un riferimento ai cardi di montagna, ed alla loro spinosa pulitura.

a repubblica lo scovano (o glielo passano) e lo piazzano lì.

quindici giorni dopo, tipo, parlano dell'immortale fascino delle borsette di coccodrillo? ecco, in piccolo, una delle tre civette è una frase a tema di eco, estrapolata da un monologo a se stesso effettuato dal Vate mentre era sotto la doccia.

la cosa si ripete per ogni grande tema trattato sulle pagine culturali del giornale di Scalfari. voi ridete, ma è così, fateci caso.

ci mancherebbe, comunque: la cosa è altamente positiva. vuol dire che a furia di teorizzare la stessa, ormai Eco "è" l'enciclopedia, ma questo lo sanno anche i cardi di montagna, figurati a Repubblica.


chicca finale: ieri è morto enzo biagi (e sul dispiacere legato alla scomparsa di un manuale di giornalismo personificato come lui non mi sprEco, lo sottintendo).
insomma, ieri mattina guardavo, a metà fra il semi-commosso e l'annoiato dai libri d'esame, la scarrellata 30/40 di foto che ripercorrevano la vita di biagi, e che repubblica.it ha pubblicato verso le 8.07 (nota bene, Biagi è spirato alle 8.00): una foto di biagi da bambino, una con montanelli, una degli ultimi anni e zà... una foto con eco.

se ne stavano entrambi in puedi a panza all'aria, a ridere di chissà che cosa, sullo sfondo di chissà quale occasione ufficial-intellettuale. a giudicare dalla giovialità dei loro visi, sembrava si conoscessero più o meno dall'elementari.
embé, quel grande saggio e uomo di mondo del dottor manetta ce lo dice sempre (ed io amo citarlo spesso) che "qualunque cosa possa essere umanamente pensata, allora Eco ci ha già scritto un libro, ed è certamente il più autorevole in materia."

ancora una volta non possiamo che dare ragione a manetta, ed aggiungere che qualunque personaggio si è intellettualmente distinto in qualcosa, eco di sicuro almeno una volta gli avrà fatto notare che aveva uno spinacio fra i denti. (su questa criptica battuta finale, sfido voi studentelli semiotici bolognini a cercare una connessione nella vostra memoria universitaria)

06 novembre, 2007

Ecco Eco

Oggi vi propongo questo post di Gael su un intervista a Eco, fatta il 16 luglio 2006, dal titolo: Semiotica: origini, definizione, sguardo sul presente.
Ringrazio Gael, sia per averci segnalato questa chicca, sia per il suo contributo al dibattito (indiretto) con Eco su Internèt. Il tema è ben stimolante....



L’Eco della rete: i rimbombi inesatti.

Il punto è che un blog (che per definizione sta su internét) sulla semiotica, quando capita che su internét spunta un video di Umberto Eco (che per definizione sta sulla semiotica disteso di pancia) che parla di internét, insomma non può fare finta di niente e deve dire qualcosa. E nonostante il player di repubblica.it faccia schifo e il video sia rimasto online e funzionante per circa 44 secondi, grazie a potenti mezzi si è riusciti ugualmente a trovarlo da un’altra parte (precisamente qui: http://semioweb.msh-paris.fr/AAR/FR/video.asp?id=1030&ress=3280&video=67653&format=22) per adempiere alla nostra missione.

La posizione dell’Umberto, in due parole, è questa: internét non è un modello di conoscenza umana perché non è in grado di eliminare e filtrare le informazioni; ciascuno di noi di fronte ad un sito non può essere sicuro che l’informazione sia attendibile; internét rischia di diventare una mappa 1:1 dell’impero e quindi perfettamente inutile; c’è la possibilità teorica che sei miliardi di abitanti del pianeta, navigando ciascuno a modo loro, si formino sei miliardi di enciclopedie diverse, da cui risulterebbe la completa incomunicabilità.

Eviteremo qui, come è stato fatto in altri luoghi, di concentraci sul Nostro, sottolineando con parole come trombone la possibilità teorica che stia parlando con estrema sicurezza di qualcosa che conosce poco, vista la sua non giovane età e l’assunto che internèt sia questa cosa giovane. Criticheremo qui, invece, soltanto l’intentio operis di quello che ha detto, ma è evidentemente bizzarro che proprio il Nostro, di cui conosciamo le opere come le nostre tasche, non si accorga di quanto proprio i capisaldi della sua teoria semiotica possano essere proficuamente utilizzati operativamente per parlare di internèt. Perché il problema con questa intervista a Eco, è che non fa una grinza, è coerente, ma, semplicemente, la sua descrizione non aderisce a ciò che dovrebbe descrivere. Un po’ una traduzione grammaticalmente corretta ma non fedele al testo di partenza.

Partendo dall’inizio: internèt è forse la migliore metafora del concetto di enciclopedia proprio perché non è mai completamente realizzata. Anzi, ci spingiamo fino a dire che non esiste: lasciando stare i bit fisicamente presenti sui server, internet è un percorso che si manifesta solo se qualcuno (un interprete) lo percorre (lo interpreta). Non è quindi la rete a dover eliminare e filtrare le informazioni, ma le pratiche degli interpreti.

E proprio sul concetto di pratica, in questo momento così di moda, bisognerebbe insistere. La possibilità dei sei miliardi di enciclopedie incommensurabili è chiaramente catastrofica, ma altrettanto chiaramente falsa. Il nostro non considera forse appieno la differenza sostanziale tra i prati spontanei delle montagne valdostane e i siti web: mentre i primi sono indipendenti dall’intenzionalità umana, i secondi sono istituiti da un soggetto. E se proprio vogliamo raddrizzare quell’ipotesi apocalittica, dovremmo dire che il rischio è che si formino sei miliardi di enciclopedie diverse con soltanto un punto di contatto con l’esterno: e la comunicabilità sarebbe questione di coppie.

Come la vogliamo chiamare allora? Manifestazione dell’enciclopedia Echiana? Spazio Liscio deleuziano? Internét è uno spazio che viene rimodellato ogni volta che una sua porzione viene percorsa o modificata. La dimostrazione di questo è il buon Google, col suo PageRank. Al di là della perfettibilità dell’algoritmo, la cosa da notare è come i rapporti interni tra i siti (tra i testi? tra i segni?) varino a seconda delle visite, dei link che li collegano, e di tutti questi fattori combinati.

E poi, caro Umberto, se la tua enciclopedia deve contenere cappuccetto rosso, se nelle biblioteche quelle vere poi io ci trovo i libri negazionisti – e hai sentito le puttanate che dicono ogni giorno all’Italia sul due? – perché, dico io, se la semiotica esiste grazie alla possibilità di mentire, perché ti preoccupi che nessuno può essere sicuro dell’attendibilità di un sito?

Amen

di Gaël

05 novembre, 2007

Incontro con Terry Gilliam. Tideland e quel che ne consegue

In occasione dell'uscita nelle sale, riproponiamo l'articolo di Giuseppe Marino, che uscì, ormai più di un anno fa, in occasione della mostra del cinema di Venezia.

Se è vero, come è vero, che la storia contemporanea è condensata nel grumo di vomito sui baffi di Benicio Del Toro, in Paura e Delirio a Las Vegas, allora l’opera dell’ex Monty Phyton Terry Gilliam ha un’importanza specifica più vicina a quella accordata da selezionate schiere di fans, che a quella negata da critici scettici.Martedì 27 giugno Gilliam ha presentato al cinema Arlecchino il suo ultimo film, Tideland, tratto da un romanzo di Mitch Cullin. La sua precedente opera, I Fratelli Grimm, pur dotata di tocchi autoriali riconoscibili ed apprezzabili, era certamente più pacificata, con inedite strizzatine d’occhio al mercato ed alla noia. Da qui la sorpresa d’aver assistito alla performance più anticonformista dell’autore, ad un rifiuto radicale delle canonizzate leggi hollywoodiane, a favore di un’espressione del fantastico nera, spesso marcia e disturbante, una strutturazione dell’intreccio che, paradossalmente, proprio nella ricostruzione di una favola, riesce a concedere poco o nulla alla realizzazione delle aspettative del pubblico. Il tutto in una messa in scena spoglia di effetti speciali, che lascia il compito del coinvolgimento e della sorpresa a scelte registiche puramente espressioniste.La storia è quella di una bambina, novella Alice, persa nella “terra delle maree” assieme al padre tossicodipendente, Jeff Bridges, che regala una sorta di Drugo lebowskiano andato a male.Durante la presentazione del suo film Gilliam mette l’accento proprio sulla volontà di costruire senza dare spazio ai tabù, tematici ed espressivi, che vincolano il cinema mainstream. Proposito rispettato nella sua trasposizione di un libro i cui temi centrali sono, a suo dire, “sex, drugs and necrophilia”. Mercoledì 28 all’Oratorio di San Filippo Neri s’è tenuto un incontro più approfondito col regista. All’inevitabile domanda su Brazil, ha risposto che gli si è “attaccato alle scarpe come una merda di cane”, pur ammettendo, poco dopo, come veda in Tideland l’opera più simile al suo lavoro più conosciuto e stimato. Eppure, parlando della sua concezione del lavoro di regista, pone come irrinunciabile la tendenza al cambiamento, fino a pensare, rivedendo i suoi vecchi film “il regista non lo conosco, non sono io”. Gilliam trova nella struttura dell’Oratorio una buona metafora di quella che dovrebbe essere l’opera registica: mattoni rossi da un lato, stucchi barocchi dall’altro, ed il soffitto incompleto con lo scheletro di legno a vista. Un accostamento ed un sovrapporsi, spesso caotico, di elementi eterogenei.Il mercoledì pomeriggio ha invece offerto la proiezione di Jabberwocky, prima opera del Gilliam solista, datata 1977, inedita in Italia. Il film è piuttosto sgangherato, richiama le atmosfere medievali polverose e demenziali del Sacro Graal, ed in sé è una visione prescindibile. È utile, però, a trovare un precedente per I Fratelli Grimm, che segna il passaggio dal noir fantascientifico di Brazil e de L’Esercito delle Dodici Scimmie, dal lisergismo esplicito di Paura e Delirio, al gotico delle ultime opere.E su questo campo il confronto con Tim Burton è automatico ed opportuno. Burton vanta una popolarità certamente superiore a quella di Gilliam, ed il suo nome è con una certa facilità accompagnato alla parola “genio”. In realtà quello di Burton sembra un nero tinto ad arte e piuttosto smaltato, dove personaggi bizzarri e più o meno mostruosi sono spesso al servizio di una storia classica e lineare, riducendosi il tutto ad una cifra estetica, ultimamente addirittura estetizzante e di maniera. Gilliam, al contrario, non ha paura di mostrare l’aspetto più profondamente contraddittorio e disturbante delle favole, quelle vere e cattive, compiendo l’operazione inversa: riveste di un’atmosfera falsamente lieve dei temi estremamente forti, ottenendo per contrasto un effetto spiazzante.Allo stesso modo i due registi hanno recentemente affrontato un tema comune, quello della narrazione orale, Burton in Big Fish e Gilliam in Tideland. Il primo, in quello che è uno dei suoi film migliori, ha costruito un percorso affascinante e colorato, rilanciando comunque l’idea della fascinazione del racconto che valorizza l’epos personale. Il secondo costringe la piccola narratrice a crearsi un mondo che trova anch’esso radici nel suo vissuto, ma che non ha niente di consolatorio, ed esalta, invece, i disagi e le vere e proprie dissociazioni della protagonista, costretta a cercare conforto in se stessa, uno degli elementi di un mondo fatto di persone danneggiate, disperate, isolate. Infine Gilliam ha detto dell’intenzione di riprendere quel Don Chisciotte, opera più complessa e costosa dell’indipendente Tideland, le cui disavventure sono narrate nel bel documentario Lost in La Mancha. Problemi di assicurazioni e produzioni sono vagliati in tribunale, mettendo in luce quell’inevitabile elemento industriale con cui chiunque voglia fare cinema deve fare i conti.

04 novembre, 2007

ESPULSI!

Oggi ho finalmente scoperto, il senso intrinseco della brillantissima legge Bossi-Fini. L'illustrissimo ex ministro del nulla nel Governo Berlusconi, l'eterno vice della politica italiana, l'uomo che per anni si battutto per il maggioritario alla francese (o come diceva Benigni: alla francese, alla francese, alla francese bello! bello! bello!), salvo dimenticarsene quando lui e il suo partito hanno votato il porcellum interamente proporzionale senza battere ciglio, oggi intervistato da Lucia Annunziata ha spiegato l'archè della sua legge.

Sillogismo finiano: tutti gli emigrati (in questo momento vanno di moda i rumeni), che dopo una settimana in Italia non hanno un reddito e vivono in delle baracche, non sono venuti nel nostro Paese per lavorare, quindi devono essere espulsi. GENIALE!

Mi farò promotore di un'allargamento della Bossi-Fini ai siciliani con il comma Arena: tutti i siciliani che non hanno un reddito, ma hanno una macchina nuova ogni due anni (da 20000 euro), i figli universitari parcheggiati in una delle tante case dello studente (pagati da noi figli di dipendenti statali), hanno diritto ai libri scolastici e universitari gratis, devono andare a ffanculo, anzi in Romania o in un paese straniero a scelta o semplicemnte fuori dalla MIA regione, dove io pago le tasse e siccome ho un reddito sono una persona per bene, in altre parole devono essere ESPULSI!
Deve esserci l'accompagnamento coatto (lo ha definito così l'ex ministro delle nullità sempre oggi su raitre.. qualunque cosa questo significhi) delle forze dell'ordine alla frontiera. Li accompagnerò io direttamente, perchè questi che non hanno un reddito potrebbero torturarmi e uccidermi da un momento all'altro, o come recita la Bossi-Fini "non rispettare i valori della nostra Patria".

FRATELLI D'ITALIA ARENA S'E' DESTO!