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29 settembre, 2006

Minimalismo Semiotico: condizioni di possibilità di un'interpretazione legittimabile

Fiorisce la riflessione teorica sui fondamenti della semiotica. Intorno alle relazioni che si instaurano tra il soggetto interprete e l’oggetto dell’interpretazione si articola il problema delle interpretazioni legittimabili.
Un interpretazione non può essere troppo sbilanciata dal lato dell’interprete, pena la deriva del significato in personalismi ed incomunicabilità, ma non può esserlo nemmeno dal lato dell’oggetto, data la natura intrinsecamente soggettiva dell’interpretazione.
Il modo di vedere la questione che presento non ha la pretesa né di essere esauriente, né perfettamente coerente con il corpus della produzione teorica del passato. Vuole essere piuttosto un inizio di progetto teorico e un tentativo di continuare una discussione aperta. Non faccio riferimento a specifiche semiotiche, o almeno non le nominero, per evitare opposizioni meramente accademiche. I riferimenti (principalmente Bergson, Eco, Deleuze, Peirce e Hjelmslev) sono stati utilizzati con libertà, i pensieri originari sono stati cambiati e rielaborati in un nuovo discorso.

Partiamo infatti dalla coscienza come la intende Deleuze nell’Immagine-movimento: questa non sarebbe una proprietà del soggetto ma sarebbe immanente alle cose. Non è quindi il soggetto ad illuminare gli oggetti bensì questi possiedono una luce che è intrinseca a essi stessi. Il ruolo del soggetto nella fruizione dell’oggetto sta nel selezionare tra le parti dell’oggetto che vengono poste alla sua attenzione gli aspetti che egli ritiene più rilevanti. Tale selezione però non esclude che quei tratti non selezionati che sono presentati all’attenzione del soggetto possano essere rinvenuti in sede di analisi. Concependo in questo modo la questione i tratti che sono analizzati hanno la loro origine (giustificazione) indipendentemente dal fruitore o interprete di tali tratti. Cioè la capacità significativa – o condizioni di possibilità della significazione – dell’oggetto sarebbe una qualità intrinseca all’oggetto stesso. Sia chiaro che qui si sta ancora parlando dell’oggetto in sé, slegato dall’insieme delle relazioni enciclopediche ed intertestuali. Il fine è di specificare con ottima approssimazione quali siano le caratteristiche osservabili dell’oggetto, le marche semantiche oggettuali o, se preferite, l’espressione. Per non proseguire sulla linea del dibattito espressione/contenuto ho preferito riferirmi alle marche oggettuali, elementi dell’analisi definibili con approssimazione quasi esatta. Benché l’espressione veicoli già un contenuto, poiché le scelte operate sull’asse sistema non sono mai prive di significato, è bene porre un punto fermo per l’analisi. Partiamo da una sorta di minimalismo semiotico vicino al livello percettivo dell’interpretazione ma che non si esaurisce in questo.

Se la coscienza è immanente agli oggetti allora dove avviene l’interpretazione? Per Deleuze la percezione di se stessi è una Primità. È attraverso tale Primità, che identifico in una metacoscienza (vedo me stesso vedere), che è possibile la fruizione dell’oggetto. Questo passo causa non poche conseguenze, quella macro che dà luogo a svariati corollari (che non esamineremo tutti) è questa: tutti i processi intrattenuti dal soggetto sono indiretti. Il rimando in ultima istanza di qualsiasi interpretazione ad una Primità sfocia in un idealismo; un tipo di idealismo che non riguarda lo statuto ontologico del mondo, né quello epistemologico. Questo idealismo rimanda ad un tipo di conoscenza intimista e riflessiva: quanto possiamo conoscere del mondo sono gli effetti che esso, e gli oggetti che ne fanno parte, possono avere su di noi.

La conoscenza degli oggetti del mondo è compiuta da un soggetto. Questo dato ineludibile pone il problema della condivisibilità delle interpretazioni. Un modo per tentare di sciogliere il problema è dividere l’interpretazione in due momenti: in un primo momento si individuano le marche oggettuali di quanto si sta analizzando, in un secondo momento si considerano le relazioni che l’oggetto in questione, e le sue parti, intrattengono con l’enciclopedia. Da quanto dell’oggetto viene sottoposto all’attenzione del soggetto deriviamo gli elementi dell’analisi. Tali elementi non sono oggettivi sia perché la selezione è comunque operata da un soggetto, sia perché è impossibile misurare con esattezza assoluta: l’atto stesso del misurare va a modificare l’oggetto di indagine. Ciò nonostante si può ridurre la rilevanza degli elementi soggettivi astraendo dalla situazione, ottenendo così risultati con un’altissima probabilità di risultare validi. Una volta individuati gli aspetti oggettuali possiamo collocare l’oggetto in una situazione determinata e analizzarne le interazioni tra le parti e il mondo. Il modo di presentarsi dell’oggetto nei suoi aspetti rilevanti rispetto alla determinata situazione permetterà di attribuire un senso più o meno legittimabile ad una o l’altra interpretazione. Legittimabile purché si trovi all’interno dello spettro di attenzione irradiata dall’oggetto sul soggetto, il quale in seconda istanza riflette gli attributi dell’oggetto sul mondo, il Tutto (l’Ouvert) dove nascono le relazioni.

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