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29 settembre, 2006

Le responsabilità dell'agire umano

di Andrea Marino

La capacità di argomentare razionalmente il proprio agire è quanto contraddistingue l’animale sociale umano. Esplicitare le ragioni dell’agire è una dichiarazione di assunzione di responsabilità nei confronti della società per quanto si è detto/fatto. L’agire responsabile, in ogni caso, si riconosce già nella scelta di utilizzare una convenzione mutuamente riconosciuta dagli appartenenti a una data comunità.

I significati vengono definiti ed hanno valore, dunque, soltanto all’interno di un dato contesto sociale in cui è possibile proferire un enunciato con la forza di asserto (un’asserzione è un enunciato di cui si afferma la verità). Riconoscersi parte di un sistema che poggia su questo tacito accordo ci autorizza a pretendere che alle nostre parole/azioni sia riconosciuto un certo valore; come comporta che si risponda delle conseguenze derivanti dal nostro agire. Se l’interpretazione è legata ad aspetti idiosincratici, in quanto operata da un soggetto, la capacità di esternazione, invece, si fonda su elementi oggettivamente riconoscibili, instaurati all’interno di un corpo sociale.

Il principio di responsabilità è l’anello di congiunzione tra la dimensione linguistica e quella etico-sociale. Non si può accettare tale principio da una parte e misconoscerlo dall’altra: si tratta dello stesso campo d’azione. Quindi non si può fare un uso personale della lingua come non si può sfruttare a piacimento la società; si gioca su un terreno comune dove, in ultima istanza, non hanno importanza le singole intenzionalità e gli scopi personali ma solo il bene comune. Il Bene, cosa diversa dai benefici, non può essere perseguito in modo naturale ma unicamente con sacrificio e razionale presa di coscienza degli impegni condivisi, mettendo un freno alle ambizioni e gli intenti personalistici.

Tutti dobbiamo essere pronti al sacrificio, tutti hanno un Mastella nel cortile di casa, ma questa non è una buona ragione per gettare diserbante nel proprio giardino. Non è una buona ragione per combattersi continuamente per affermare la propria vacillante identità. L’animale razionale sarà in grado di definire la propria identità nell’agire invece che in meschina contrapposizione? Lo schema Noi/Loro è datato e superato, appartiene ad un modo di gestire il bene comune gretto e dagli scarsi risultati. Incontrovertibili fatti, risultati riconoscibili e asseribili sono le basi di un agire valido.

L’animale umano naturalmente non tende al bene comune, e forse nemmeno al bene personale: tende al soddisfacimento a breve termine, al profitto miope. Il profitto miope e personalistico è il (plus)valore cui tutto è stato sacrificato. Sull’altare della competitività e della concorrenza sta venendo sacrificata ogni cosa. Sarebbe il caso di iniziare a chiedersi a che pro: si sente davvero il bisogno di uno sviluppo fine a se stesso? Abbiamo scartato con troppafacilità la domanda su quale sia il Bene per l’essere umano. Anche senza parlare di realizzazione terrena e felicità divina, possiamo almeno perseguire uno stato di cose che sia più vicino alle reali necessità dell’uomo? Se tale ricerca si fosse interrotta, avremmo smesso di indagare sulle basi; su cosa poggiare il resto?

Non c’è un sogno né qualcosa cui tendere: l’uomo agisce contro il proprio bene e contro ciò che sarebbe auspicabile. La tendenza generale nell’economia e nella politica è sempre più di mostrare i benefici e nascondere i costi. Le esternalità prodotte da questi settori semplicemente non vengono considerate, di conseguenza le responsabilità non vengono attribuite. Quando la catena dei subappalti di responsabilità diventa troppo lunga le colpe svaniscono, i fautori diventano sfuggenti, impalpabili.

Non c’è nessun piano, nessun progetto: si insegue il domani, anzi il dopodomani. Il mantenimento dello status-quo è perseguito attraverso l’espansione dello status-quo. La moltiplicazione del presente è il nostro progresso, nella coazione a ripetersi tutta la spinta innovatrice dell’animale uomo. Per spezzare il ciclo, dobbiamo tornare a tendere verso qualcosa d’altro; cito Deleuze: “ora questo sogno è per se stesso azione, realtà, minaccia effettiva per ogni ordine stabilito, e rende possibile ciò di cui egli sogna”. Sii tu azione.

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