Le prime file delle aule di semiotica sono sempre troppo vuote.
Così, in uno sforzo stoico immane - con vene greimasiane del collo gonfie fino all'inverosimile e programmi narrativi di ferro, temprati al fuoco che crea il fumo che è un segno naturale del fuoco che sussiste anche senza di un interprete a interpretarlo (solo che se c'è, pensa Eco è meglio) - un manipolo di eroici perizomatici stamattina si è presentato all'avvio delle lezioni del maestoso secondo anno (quello delle tesi e delle partenze, per intenderci: entrambe ahimé) se-den-do-si addirittura in prima fila!
Già me li vedo, belli, carichi, con la sola forza possente delle loro pippe mentali e dei loro cervelli rizomatici, privi di alcun aiuto psicotropo esterno (niente caffè, e sbornia del giorno prima ancora in "canna", aho, dei pazzi).
Asfaleia, armato di un quaderno francese coi righi strani su cui anni prima, in quel di besansòn, fra una miriade di parole francofone e accentate aveva appuntato un lapidario "si trasforma in un cazzo missile e si intrufola nelle tue valvole", adesso fa una striscia con la penna rubata al suo vicino di banco semiotico, e vi verga sopra le parole di fuoco: "Analisi del discorso politico, prima lezione, prof. Montanari, 5 ottobre duemilaessei". Poi posa la penna, indomito ma soddisfatto, e si mette a sfogliare borioso le sue fotocopie di Peirce, autoschiaffeggianti in caso di colpo di sonno.
Il Vicedirettore, sfoderato (nel senso di privo di fodera) in un abito molto rock che lascia trasparire un po' di pelo di coscia rock - il che fa molto rock - con una maglietta gialla attira moscerini (dannati generativi!*), guarda con aria di sfida il prof. Montanari, chè lui stesso poteva ricordare in precedenti lezioni pozzatiane sulla costruzione del senso del quotidiano "Gramna" de L'Avana, Cuba. Lo guarda, insomma, con sguardo semiotico e sputasentenze, poi si dà un'allisciata alla barba incolta e rock, si scaccola giusto un po' ma con ritegno elevando a dignità di simbolo alcuni gialli frutti dal suo corpo secreti, e lo apostrofa in tono di sfida, dicendogli con il solo movimento peristaltico del sopracciglio destro: "Montanà- ahoh - t'ho riconosciuto: srotola pure il tuo percorso narrativo come meglio credi, ma aocchio a 'ndove cogli, capito, 'che c'hai il perizoma tutto 'm prima fila, e ti si vede tutto"
Esila allora, nelle vesti dirigenziali di direttore indomito, muliebre ma armata di maschia e virulenta tenacia , a guidare la combriccola di intrepidi disperati, con la penna superfast e la mano che condanna e che consola i suoi redattori, in perenne dissidio con il vicedirettore mancino che gli sgomita di fianco, beve acquaragia per temprarsi le budella attorcigliate e scrive brevi frasi puntuative sul suo taccuino di pelle di vecchi redattori. Prende appunti della - pfui - lezione, per conservare le prove con cui poi smontare il professore nel prossimo editoriale perizomico costipato come sempre in mille battute, fra una denuncia d'intenti programmatici, un po' di informazioni di servizio, la ricetta della zuppa al pesto, e qualche staffilata polemica ai ciellinidimerda dai quali in fondo poi lei proviene.
Marina quindi, vestita di nero, che fa più paura. Arriva in ritardo ma si siede sbeffeggiante in prima fila anche lei, e po' se ne sta ritta ritta col dito teso, pronto e intimoritore, in grado di debraiare qualsiasi cosa si muova nel raggio di ben cinque chilometri, pronta a sfrustarti di rigurgiti neoplatonici quando le pare e piace giusto per farti capire con chi tieni a che fare.
In seconda fila, secondi ma mai assecondi, il direttore della situazione, che staziona e situaziona fra una Elena di Livorno qualunque ed il dandolo in versione dandy alla "mòtealliscioilpelo babe", intenti entrambi a passare in rassegna con fiero sguardo marsciano e indagatore le nuove proposte semiotiche che si presentano hodie all'appello, ahimé sempre mediocri, ma promettenti sotto le vesti troppo semiotico-impettite. Impaghi della lezione, i due se ne stanno così tre ore a sfoltire con sguardi ormonali la distanza fra i programmi narrativi delle giovani donne semiotiche e lanciare azioni manipolatorie dalla vaga parvenza sanzionatoria del tipo: lo so che non ti piaccio, ma il tuo perizoma lo comando io, e se voglio lo imposto su spartichiappe automatico ogni cinque minuti, così vediamo se ti deconflittualizzi e ti convinci addarmela dando sollievo alla mia semiosi illimitata.
Questa, la formazione, in prima e feconda fila, che dopo due minuti di posizione eretta e tono di sfida già piangevano già tutti interiormente e reclamavano un caffé, promettendo balli semiotici e tesine di Leonardi a chiunque avrebbe potuto fermare il tempo per concedere il lampo di una ingozzata di spiccioli alla macchinetta.
Perizzomi in prima fila: tutto può accadere, men che meno l'improbabile. A ottobbre, in tutti i cinemi radical-deleuziani.
Simon de Tournai
mr. cellophane
*non che i moscerini siano generativi come specie, ma un'imprecazione nei confronti dei generativi ci sta sempre e fa molto rock.
La semiotica è vasta, impossibile coprirla tutta. Forum di attualità, cultura e innovazione degli studenti di Discipline Semiotiche, Bologna. IL PE_RIZOMA è UNA RIVISTA GRATUITA! MAIL: pe_rizoma@yahoo.it
05 ottobre, 2006
Prime avvisaglie semiotiche
Postato da vicedirettore alle 17:56 6 interpretante/i
Nomotetizzazioni >> semiotica
02 ottobre, 2006
RICOMINCIAMO!
Compagni, amici, attanti,
il dir sit è tornato e si congratula con voi per il nuovo blogge del nostro richiestissimo giornale semiotico. Sarà un anno di grande lavoro per la redazione tutta. I programmi narrativi di cui dovremo occuparci saranno tanti, gli attanti da coinvolgere devono essere innumerevoli e le presentificazioni che dovremo fare devono essere ammiccanti e coinvolgenti (quasi come la presentificazione di una bella figa, che non studia semiotica ovviamente).
Tra un Greimas e un Deleuze dobbiamo riconfermarci e ingrandirci, tra un Peirce e uno Hjemslov (nn so se si scrive proprio così) dovremo lottare e combattere per la sopravvivenza.
D'ora in poi si ricomincia redazione, redazione bis, tris, poker e full non c'importa, cominciamo a riempire la casella vuota tra il numero II e il prossimo numero. Riportiamo le birre e i dolci a riunione mamma Marina penserà alle pizze e via, riprendiamo scrivere e a cercare difar prendere qualche denuncia all'HERR.
Cari compagni, cari amici, cari attanti BUON LAVORO!
Postato da Damiano alle 14:46 3 interpretante/i
Nomotetizzazioni >> semiotica
Chi ha paura di Addenbraun?
di Erika Gardumi
Da quando l’università italiana ha decuplicato i suoi corsi di laurea e li ha divisi in 3+2, nessuna facoltà ha più il nome di una volta. Sembra, anzi, che il vero riammodernamento dei curricula studi sia nell’invenzione di nomi lunghissimi ed esotici per ripresentare la solita minestra in cucchiaini più piccoli e più costosi. E nessuno è in grado di capire, dalle 2 righe di titolo, quale razza di strana materia tu stia studiando. Dopo aver passato 3 anni a fare esami come “interazione uomo-macchina” e “organizzazione dei sistemi informativi aziendali” (rispettivamente html e marketing), pensavo di aver fatto un consistente passo avanti con una laurea specialistica breve e concisa: Semiotica. Che poi sia Discipline Semiotiche non ci interessa, la parola SEMIOTICA in sé crea più confusione di un seminario su una specializzazione minore della podologia…Tanto che ormai risposta e controrisposta alla domanda “che cosa studi?” sono diventati per me motivo di analisi sperimentale.
La cosa che mi piace di questa laurea è che interessa tutti e tutti hanno qualcosa da commentare (su quello che hanno capito loro, chiaramente). Per un istante ci illuminiamo, pure: “Allora sai cos’è!!!”Siamo seri, ragazzi, non ci sappiamo spiegare. La semiotica per il mondo evoca tutto un altro immaginario…Proviamo a dire a qualcuno che studiamo semiotica: un buon 50% rimane assolutamente muto, come se dovessi ancora cominciare a parlare. A questo punto, che sia nostra la tentazione irresistibile di chiedere “allora sai cos’è?” o che sia una curiosità tutta dell’interlocutore, ci troviamo a dover dare spiegazioni. Dato che una definizione hjelmsleviana può mettere in difficoltà anche noi, usiamo l’autorità: “hai presente Umberto Eco?”
Le facce si illuminano! Ma il meglio che ti possa capitare è “ho letto il nome della rosa”. A metà c’è qualche commento riguardo alla performance di Sean Connery nel film, il peggio invece è capitato ad un collega che si è sentito rispondere: “Umberto Eco? No, non lo conosco…non guardo mai la tv”.
A questo punto, contrariato, decidi di usare l’espressione ‘studio dei segni’. L’ascoltatore fa un lungo cenno di assenso con la testa e aggiunge, convinto, una delle seguenti cazzate:
-studiate il linguaggio dei segni per i sordomuti?
-è vero che dalla scrittura di uno si capisce il carattere?
-siete voi che avete tradotto i codici dei nazisti?
-fate i segnali stradali?
-aaaaaaahhhhaaaaa! Se-mi-o-ti-caaaa.. sé sé..
E infine, la risposta che ha scatenato la mia piccola riflessione:
-allora studi ADDENBRAUN!
CHI??!?
-Addenbraun, quello del codice Da Vinci..sai, i segni del codice Da Vinci..Momento di panico. Per un istante la tua nuova deformazione professionale ti fa pensare che potresti farci una tesina, ma per fortuna passa subito. Allora provi ad immaginarti in uno scantinato segreto nella Berlino del 1943 con delle enormi cuffie e una macchina per decifrare i messaggi nazisti. La missione è talmente segreta che tutti i tuoi collaboratori sono sordomuti, ma tu ci comunichi fluentemente e dalla loro scrittura ne capisci anche il carattere e sai se sono spie. Quando nel Codice da Vinci succede il putiferio qualcuno urla: “chiamate un semiotico!” e vengono a svegliarti nel cuore della notte per andare a fare degli anagrammi.
Siete lì lì per ridere. Ma alla fine non resistete alla tentazione. Vi fate seri seri e, avvicinandovi con aria confidenziale, sussurrate nell’orecchio del vostro amico: “no, Addenbraun non lo studiamo…perché è INTERPRETATIVO”.
Postato da Andrea Marino alle 14:18 4 interpretante/i
Incontro con Terry Gilliam. Tideland e quel che ne consegue
In occasione dell'uscita nelle sale, riproponiamo l'articolo di Giuseppe Marino, che uscì, ormai quasi due anni fa, in occasione della mostra del cinema di Venezia.
Se è vero, come è vero, che la storia contemporanea è condensata nel grumo di vomito sui baffi di Benicio Del Toro, in Paura e Delirio a Las Vegas, allora l’opera dell’ex Monty Phyton Terry Gilliam ha un’importanza specifica più vicina a quella accordata da selezionate schiere di fans, che a quella negata da critici scettici.Martedì 27 giugno Gilliam ha presentato al cinema Arlecchino il suo ultimo film, Tideland, tratto da un romanzo di Mitch Cullin. La sua precedente opera, I Fratelli Grimm, pur dotata di tocchi autoriali riconoscibili ed apprezzabili, era certamente più pacificata, con inedite strizzatine d’occhio al mercato ed alla noia. Da qui la sorpresa d’aver assistito alla performance più anticonformista dell’autore, ad un rifiuto radicale delle canonizzate leggi hollywoodiane, a favore di un’espressione del fantastico nera, spesso marcia e disturbante, una strutturazione dell’intreccio che, paradossalmente, proprio nella ricostruzione di una favola, riesce a concedere poco o nulla alla realizzazione delle aspettative del pubblico. Il tutto in una messa in scena spoglia di effetti speciali, che lascia il compito del coinvolgimento e della sorpresa a scelte registiche puramente espressioniste.La storia è quella di una bambina, novella Alice, persa nella “terra delle maree” assieme al padre tossicodipendente, Jeff Bridges, che regala una sorta di Drugo lebowskiano andato a male.Durante la presentazione del suo film Gilliam mette l’accento proprio sulla volontà di costruire senza dare spazio ai tabù, tematici ed espressivi, che vincolano il cinema mainstream. Proposito rispettato nella sua trasposizione di un libro i cui temi centrali sono, a suo dire, “sex, drugs and necrophilia”. Mercoledì 28 all’Oratorio di San Filippo Neri s’è tenuto un incontro più approfondito col regista. All’inevitabile domanda su Brazil, ha risposto che gli si è “attaccato alle scarpe come una merda di cane”, pur ammettendo, poco dopo, come veda in Tideland l’opera più simile al suo lavoro più conosciuto e stimato. Eppure, parlando della sua concezione del lavoro di regista, pone come irrinunciabile la tendenza al cambiamento, fino a pensare, rivedendo i suoi vecchi film “il regista non lo conosco, non sono io”. Gilliam trova nella struttura dell’Oratorio una buona metafora di quella che dovrebbe essere l’opera registica: mattoni rossi da un lato, stucchi barocchi dall’altro, ed il soffitto incompleto con lo scheletro di legno a vista. Un accostamento ed un sovrapporsi, spesso caotico, di elementi eterogenei.Il mercoledì pomeriggio ha invece offerto la proiezione di Jabberwocky, prima opera del Gilliam solista, datata 1977, inedita in Italia. Il film è piuttosto sgangherato, richiama le atmosfere medievali polverose e demenziali del Sacro Graal, ed in sé è una visione prescindibile. È utile, però, a trovare un precedente per I Fratelli Grimm, che segna il passaggio dal noir fantascientifico di Brazil e de L’Esercito delle Dodici Scimmie, dal lisergismo esplicito di Paura e Delirio, al gotico delle ultime opere.E su questo campo il confronto con Tim Burton è automatico ed opportuno. Burton vanta una popolarità certamente superiore a quella di Gilliam, ed il suo nome è con una certa facilità accompagnato alla parola “genio”. In realtà quello di Burton sembra un nero tinto ad arte e piuttosto smaltato, dove personaggi bizzarri e più o meno mostruosi sono spesso al servizio di una storia classica e lineare, riducendosi il tutto ad una cifra estetica, ultimamente addirittura estetizzante e di maniera. Gilliam, al contrario, non ha paura di mostrare l’aspetto più profondamente contraddittorio e disturbante delle favole, quelle vere e cattive, compiendo l’operazione inversa: riveste di un’atmosfera falsamente lieve dei temi estremamente forti, ottenendo per contrasto un effetto spiazzante.Allo stesso modo i due registi hanno recentemente affrontato un tema comune, quello della narrazione orale, Burton in Big Fish e Gilliam in Tideland. Il primo, in quello che è uno dei suoi film migliori, ha costruito un percorso affascinante e colorato, rilanciando comunque l’idea della fascinazione del racconto che valorizza l’epos personale. Il secondo costringe la piccola narratrice a crearsi un mondo che trova anch’esso radici nel suo vissuto, ma che non ha niente di consolatorio, ed esalta, invece, i disagi e le vere e proprie dissociazioni della protagonista, costretta a cercare conforto in se stessa, uno degli elementi di un mondo fatto di persone danneggiate, disperate, isolate. Infine Gilliam ha detto dell’intenzione di riprendere quel Don Chisciotte, opera più complessa e costosa dell’indipendente Tideland, le cui disavventure sono narrate nel bel documentario Lost in La Mancha. Problemi di assicurazioni e produzioni sono vagliati in tribunale, mettendo in luce quell’inevitabile elemento industriale con cui chiunque voglia fare cinema deve fare i conti.
Postato da Andrea Marino alle 14:17 0 interpretante/i
Nomotetizzazioni >> cinema
E così le formiche sarebbero operose e le api operaie
corre voce qui tra i banchetti di scuola di questa nostra società che le formiche siano tra gli esseri più instancabili e, in proporzione alla grandezza, forti di questo pianeta.il primo mito da sfatare riguarda la presunta operosità eroica e stakanovista dell'insetto in questione. se ne dice un gran bene soltanto perché quando si redasse la famosa favola della formica e la cicala, la cicala evidentemente era fuori a spassarsela, chi può biasimarla? insomma da una banale osservazione etologica del comportamento di questo insetto 'sociale' si nota come su una catena di migliaia di formiche che vanno avanti e indietro, tutte attente più a stuzzicare il di dietro di chi è davanti piuttosto che a rendersi utili, insomma in questa fila di operose migliaia saranno sìennò un dieci per cento a portare qualcosa a casa, e se andrete ad osservare bene vi renderete conto che tutte e dieci portano la macchinetta e gli occhiali. delle altre la maggior parte è strafatta, canta canzoni di little tony e segue la fila in avanti ed indietro con le antenne attaccate al popò.. per evitare di perdersi. difatti una formica che esca dal flusso esprime istantaneamente tutto il suo sbandamento morale sociale e fisico, ciondolerà a destra e a manca senza un perché, ripercorrendo spesso i propri passi, gettandosi sempre nel solito bar e senza rendersi conto che se fai il giro di una mano, ti ritrovi sempre nella stessa mano... cosa c'è di operoso in questo? al massimo è operoso footing di chi se ne fott.da qui possiamo scatenare tutta la potenza del ragionamento abduttivo: le formiche sono una casta sionista di cospiratori nullafacenti che tramano alle spalle di altri ignari insetti(?) della sconosciuta specie, che sono soltanto travestiti da formiche e costretti a fare tutto il lavoro duro.in secondo luogo se le formiche fossero davvero così forti certamente non se ne sterebbero certo tutte insieme a rincuorarsi l'una altra: 'ma sì che sei forte, non preoccuparti, non è colpa tua se non riesci ad aprire la macchinetta del caffè, è quella stronza cicala che l'ha chiusa troppo stretta..'insomma la nullafacenza formichesca non ha nulla di operoso, non più di quanto non lo siano i punkabbestia strafatti in via zamboni, magari ci fossero, ormai sono tutti in villeggiatura. non si tratta infatti nemmeno di vera e propria negligenza: LE formiche non sono una società, sono solo delle sfruttatrici, quindi non fanno nulla di sbagliato né soffrono del loro modo di essere, perché tale è e non rimediabile. la loro è un'incosciente cattiveria che le porta a dominare senza esserne consapevoli, senza soffrirne. non c'è iato tra ciò che fanno, ciò che vogliono (?) e ciò dovrebbero. troppo facile così. come fargliene una colpa?
a.
ps se poi mi venite a dire che la danza del miele è da operai..allora alla cgil organizziamo festival a base di ambrosia e baccanti.. invece di timbrare il cartellino si lecca capezzolo del peloso operaio alla propria sinistra
Postato da Andrea Marino alle 14:14 0 interpretante/i
Nomotetizzazioni >> uanema
Gli arretrati di pe_Rizoma
ecco i link ai numeri arretrati di perizoma:
numero I
http://www.arnonechiara.info/perizoma/perizoma_1_stampa.pdf
spazio gentilmente offerto dalla studio di grafica di Arnone Chiara
numero II
http://www.arealocale.com/images/simone/perizoma_2%20stampa.pdf
spazio generosamente offerto dal giornale Area Locale (anche on-line), che vanta numerosi e competenti giornalisti
numero III
http://www.arnonechiara.info/perizoma/perizoma_III.pdf
ancora la nostra grafica preferita, quella che ha anche rifatto testata, ancora gracias
il numero zero è già un pezzo da collezione da pagare a caro prezzo con una mail a pe_riZoma, per il caro prezzi rivolgersi altrove che pure noi abbiamo i nostri problemi
Postato da Andrea Marino alle 13:59 1 interpretante/i
Nomotetizzazioni >> semiotica