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12 novembre, 2007

Propp è figlio unico.*

Lo confesso, vorrei avere una vita: canonica. E per canonica intendo una vita che segua lo schema narrativo canonico, e insomma ci siamo capiti. Io sarei il mio personalissimo eroe, si comincerebbe da una situazione di equilibrio, poi la rottura dello stesso, e una serie di peripezie fino a ristabilirlo. Sarebbe, come dire, rassicurante. La mia vita sarebbe una combinazione di funzioni pescate a caso dalle 31 che l’amico Vladimir ha così bene elencato. Mi risparmierei un bel po’ di incertezza, di sofferenza no, ché anche l’eroe proppiano ha i suoi grattacapi. Ma l’incertezza, il vuoto, i momenti narrativamente inutili, sconclusionati, quelli me li risparmierei. E avrei chiaro negli occhi quale sia l’oggetto di valore a cui aspirare, chi sono gli opponenti e chi gli aiutanti, and so on.
Mi accontenterei anche di qualche leggera complicazione greimasiana a questo schema. Voglio dire: accetterei che diversi attanti siano contenuti nello stesso attore, per esempio. Io sarei il destinante e l’oggetto di valore di me stesso – la mia vita trasformata così in un bildungsroman – e ci sarebbe qualcuno che in alcuni casi è aiutante e in altri opponente. Sarei pronto a rinunciare alle trentuno funzioni per avere in cambio categorie più incerte e meno definite. Ma non sarebbe la fine del mondo. E in ogni caso i vantaggi supererebbero questi piccoli disagi. Fallirei di sicuro qualche prova qualificante, all’inizio. E potrei addirittura morire a trentuno anni in un incidente stradale, che una fiction sulla mia vita venticinque anni dopo sarebbe la dimostrazione che invece la prova glorificante l’ho bella e superata.
Ecco, ho fatto il mio personale coming out, vi ho detto qual è il mio sogno. Però. Quello che ho pensato ieri sera davanti alla televisione è stato: siamo sicuri che questo fosse anche il sogno di Rino Gaetano?
La vita di Rino Gaetano, per come l’ho vista ieri, è in realtà una fiaba russa. Sissignori. E non c’entra niente il fatto che li si chiamassero vicendevolmente “compagni!” o robe di questo genere, quelli sono solo i seventies italiani. La vita di Rino Gaetano è una fiaba russa già al quarto minuto, quando suo padre gli fa un discorso che suona più o meno così: “Ti hanno visto suonare la chitarra. Ho fatto tanti sacrifici per te e la mamma. E questo non me lo merito”. E poi l’espressione di Claudio Santamaria sommerso dai fischi degli studenti dopo aver detto qualcosa come “Io non so se è giusto stare da una parte”. Divieto e persecuzione. E l’assoluta scioltezza dei suoi rapporti amorosi. E il padre, destino, ha un infarto dopo un litigio con Rino, che accorre subito, e si pente istantaneamente.
Tanta difficoltà, ma nessuna complicazione narrativa. E’ una fiaba russa. Con l’unico difetto di essere un po’ contraddittoria: Rino non leggeva fiabe russe, e non le legge nemmeno nella fiction. Lo stesso personaggio-Rino è dipinto come qualcuno che avrebbe vomitato su una pellicola del genere, con la stessa tristezza che in quella storia lo porta a incendiare una pila di suoi vinili invenduti nel cortile davanti casa, sotto lo sguardo del padre (connivenza).
E pure se non fosse una biografia, voglio dire: è questo ciò che si merita un telespettatore medio italiano?
Personalmente, io la seconda puntata non la guardo. Ho già sostenuto e superato l’esame su Propp, e penso di sapere come va a finire.


*Titoli alternativi per questo post erano: "Voglio una vita greimasiana" e "Disperato, erotico, Propp". Se sapessi impostare un sondaggio vorrei proprio vedere quale vincerebbe.

3 commenti:

Andrea Marino ha detto...

ho sentito dire che la sorella di rino gaetano non ha gradito la produzione. dice che hanno descritto rino triste ubriaco e deragliato, mentre lui non aveva tutti queste fisime.

comunque credo che lo guarderò. magari non subito

sergio ha detto...

ciao gael, sono un tuo estimatore.mi consigleresti qualche fiaba russa? ho proppio voglia di leggerle

Anonimo ha detto...

Mi ritrovo nelle tue parole. Forse Rino non è un eroe per lo stesso motivo per cui non è un idiota...Non so, so che nel cimitero dov'è sepolto si trovano, mi hanno detto, un tavolo, una sedia, una bottiglia di vino; chi vuole si siede, beve un bicchiere di vino, consuma i propri pensieri, ascolta la mancanza fare rumore. Conversazioni con un silenzio difficile che pochi - pochi, tra cui Rino - sanno comunicare. Semplicemente. Nelle canzoni di Gaetano c'è una melancolia piena di sfumature ma libera dagli intellettualismi, dalle perversioni filosofeggianti con cui spesso di questa difficoltà ci si compiace, invece. Non riesco a immaginare Rino se non attraverso la semplicità con cui comunicava la non semplicità. Una fiction come quella che ci hanno propinato non è semplice, è banale. Meglio ricordare Rino sedendoci al suo tavolo, con in mano un bicchiere di vino, una lacrima, un cielo sempre più blu.