La semiotica è vasta, impossibile coprirla tutta. Forum di attualità, cultura e innovazione degli studenti di Discipline Semiotiche, Bologna. IL PE_RIZOMA è UNA RIVISTA GRATUITA! MAIL: pe_rizoma@yahoo.it

29 settembre, 2006

L'mp3, uno stile di consumo musicale

di Simone Arminio

Viviamo un’epoca sempre più affollata di stimoli, di proposte culturali sensazionali di fiamma intensa e vita breve. Un mondo in cui la democratica concorrenza fra le proposte sul mercato non permette di appassionarsi ad un film o una canzone per più di mezz’ora; le emozioni, anche quelle, sono diventate a tempo determinato, e dopo un godimento subitaneo, intenso e travolgente, si è già subito annoiati e pronti al nuovo.
Una volta, neanche troppi anni fa, c’erano gli album in uscita, e le radio che passavano il singolo per un periodo di tempo utile ad incuriosirti, prima di diffonderlo.
Compravamo i nostri cd, schifosamente costosi, e la conoscenza musicale era perciò una cosa tristemente elitaria, proporzionata alle capacità d’acquisto. Oppure, ci facevamo la cassettina, coi titoli scritti a penna, e la dedica nel lato interno della custodia di chi ce l’aveva registrata; ascoltavamo, ascoltavamo, ascoltavamo, fino a conoscere un album alla perfezione, incamerare ogni suono, personalizzare ogni sua suggestione.
Negli anni novanta è arrivato internet, con la tecnologia mp3 ed il nuovo ’68: una rivoluzione culturale basata sulla condivisione senza limiti, in barba al copyright ma anche all’imperio economico delle case discografiche.
La gente, in massa ha preso a convertire, scaricare, condividere, ma soprattutto a conoscere, ampliando i propri orizzonti musicali come mai avrebbe potuto.
Perno di tutto, un nuovo formato musicale, dalla qualità più scadente ma di grande versatilità, che gli permetteva di circolare velocemente in una rete che andava ancora a modem analogici. L’Mp3, però, a quei tempi era ancora solo un mezzo: veniva scaricato e subito convertito in formato audio, andando ad arricchire compilation così eccentriche e variopinte che nessuna major musicale si sarebbe mai sognata di produrle.
L’industria tecnologia però aveva fiutato l’affare. Quando sono arrivati i primi lettori di mp3, erano davvero sciccherie da orecchie mercificate: chi avrebbe mai sostituito la gioia dell’album, coeso e compiuto, con titoli e copertina, ad un calderone di brani posizionati alla rinfusa in un supporto dalla durata potenzialmente infinita?
Sono arrivati comunque i primi problemi. Scaricare è un reato. Il commercio però è l’anima del mondo, non può essere contrastato: le ditte di produzione di software e hardware, quelle di hi-fi, hanno cavalcato l’onda del suo successo e cominciato a ragionare solo in termini di mp3, e i servizi di internet sono stati potenziati in funzione di download sempre più corposi.
L’mp3, che alla sua nascita era tutto sommato una cosiddetta pezza a colori, uno stratagemma, arrangiato solo per risparmiare spazio, oggi rischia di diventare lo standard di formato musicale. Con le sue pratiche di ascolto annesse e connesse.
La cura del proprio orecchio infatti, e della propria educazione musicale, si è presto trasformata in una pratica dell’accumulo quantitativo e qualunquista.
Una volta, neanche troppo tempo fa, c’era il culto della canzone, sentita di striscio a casa di un amico, sentita dire, e poi ricercata con tutti i mezzi per mesi, quindi inserita come una perla nella propria compilation.
E le compilation personali erano una sorta di opera d’arte: un impresa di limatura, filtro e selezione, per creare un prodotto finito in cui 16-18 brani si susseguivano secondo il proprio personale criterio estetico ed il personale godimento.
C’erano 70 minuti – e non uno in più - da riempire. E si poteva lasciare dello spazio libero anche solo per il fatto che i titoli poi non entrassero tutti nel foglietto. Io, infatti, odiavo quelli che dicevano convinti: “hai sentito la numero otto, quant’è bella?” Pensavo che se un prodotto culturale ha un titolo, significherà qualcosa. Ora, quando giri in macchina, stereo e cd di mp3 ormai d’ordinanza, ti senti dire: “metti su la 97, per favore…” Titoli ed autori, identità e contesto, colpa della mancanza di confini, sembrano del tutto spariti.
Cos’è successo? La splendida opportunità di conoscenza fornita dalla condivisione, si è trasformata – questa è la perversione - in un’ansia dell’accumulo incondizionato. Ciò perché si è spostato eccessivamente il punto di riferimento, lo standard quantitativo del formato: dal 45 giri (singolo più b-side), all’album, si è arrivati al culto della discografia, capite bene: l’opera omnia in costante costruzione di un artista. Roba che una volta si faceva, e solo se ne valeva la pena, post mortem autoris. Siamo, in pratica, diventati schiavi delle magnifiche sorti e progressive del medium e del supporto, che più largo è, più ci induce ad ammassare, riducendo al minimo i tempi di ascolto, di consumo, ed il concetto stesso di godimento di un’opera d’arte.
Neanche troppi mesi fa, uscivo di casa con il walk-man o il lettore cd, e ciò significava dover fare una scelta, a seconda dell’umore della giornata. Oggi, tutto il tempo utile all’ascolto lo perdiamo nella scelta dei brani da selezionare in una library che, nel peggiore dei casi, ha un’autonomia di un centinaio di ore.
Ma poi, sapreste ancora canticchiarmi cosa avete ascoltato ieri?

Nessun commento: