va di moda nel giornalismo di oggidì di denominare ogni deposizione davanti ai giudici o testimonianza o racconto delle conquiste fatte al night club la sera prima come 'la verità di...' e il nome dell'indagato, testimone, o donnaiolo (o uomaiòla, che è molto meglio di mangiauomini, almeno è divertente da pronunciare).
a me viene il dubbio che se tutti quanti hanno una propria verità nel cassetto, discordante con tutte le altre, c'è qualche problema con il concetto mediatico di Verità.
a me, ingenuamente, viene da pensare alla Verità come a una cosa unica, bella (anche se fa male, lo so), e difficilmente descrivibile.
perché dobbiamo considerare le pochezze dei vari ricucci, d'alema, coppola, ratzinger, fazio, mora, bush come delle Verità?
se proprio gli si vuol dare il beneficio del dubbio (proprio perché è la costituzione che ce lo dice, altrimenti se ne poterbbe fare spesso a meno), si dica che anche loro, nella loro pur sospettabilissima posizione, e nel paludoso modo d'agire che hanno tenuto, hanno anche una versione dei fatti che in qualche rocambolesco modo potebbe riuscire a farli giudicare innocenti.
la presunzione di innocenza, è appunto una presunzione non una certezza. e il linguaggio mediatico che marchia le parole della donna di cogne come una verità non è affatto un linguaggio innocente. è anzi un linguaggio deviante, fuorviante, o semplicemente menzognero.
aggiungo una menzione per la verità dei giornalisti: la loro verità è che sono da più di due anni senza contratto, a tutto vantaggio di chi i giornali li vuole possedere, e vuol possedere anche chi ci lavora dentro, con il ricatto del contratto a termine, per poterli sfruttare unicamente come timone d'opinioni invece che come servizio alla comunità.